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Lanciare il riso e il bouquet: una e cento usanze

Leggende matrimoniali

Il matrimonio ha la sua liturgia, ma non solo! Ha usanze entrate a far parte della storia e della leggenda. La pioggia di riso, il lancio del bouquet fuori dalla chiesa. Comportamenti entrati a far parte del costume. Quasi sempre propiziatori: ma da dove vengono? Chi li ha resi parte della ritualità? Ebbene, affondano spesso nella notte dei tempi.

Lanciare il riso agli sposi è un gesto che arriva dalla lontana Cina, precisamente da una leggenda, quella del Genio buono che vedendo la povertà dei contadini chiese loro di allagare i campi e disperse nell’acqua i suoi denti; dopo qualche mese da quei campi nacquero piantine di riso destinate a sfamare la popolazione. Di qui, il benaugurale e prospero del riso: lanciandolo agli sposi li si ricopre di benessere e abbondanza.

L’utilizzo dei fiori d’arancio è altresì legato a una leggenda, questa volta spagnola: un ambasciatore in visita a un giovane re chiede a quest’ultimo se potesse donargli un ramo del suo albero d’arancio; di fronte al diniego, l’ambasciatore pagò un giardiniere del palazzo 50 monete d’oro affinché glielo portasse e grazie a ciò il giardiniere poté dare in sposa la figlia. La fanciulla il giorno delle nozze rese omaggio alla pianta che le aveva consentito di sposarsi, mettendo i suoi fiori fra i capelli.

Gli antichi romani hanno dato origine invece a due consuetudini: le parole “luna di miele” e l’utilizzo del velo nuziale. Il miele era infatti la sostanza che gli sposi erano soliti mangiare per 30 giorni (il ciclo lunare) al fine di riaversi della fatica di quei primi giorni. Il velo ha un significato poco romantico a dire il vero, perché in epoca romana i matrimoni erano spesso concordati per interesse o per ragioni lontane dall’amore. La sposa recava quindi un velo (a dire il vero rosso, in segno di modestia) sul viso per non rivelare il suo aspetto fino all’ultimo.

Dall’Egitto arriva invece la tradizione delle damigelle d’onore: ai tempi erano vestite come la sposa, con l’obiettivo di confondere gli spiriti maligni ed impedire loro di individuare la sposa in mezzo a tante fanciulle.

L’utilizzo dell’anello come simbolo di promessa d’amore affonda anch’esso nell’antichità, derivato dalla consuetudine di tracciare un cerchio intorno agli sposi durante la cerimonia. Il cerchio è infatti simbolo di perfezione, di qualcosa che non inizia e non finisce, le cui estremità si fondono in una cosa sola. Di lì, l’usanza della fede. Ancora più bella, la prassi medievale che la sposa compieva intrecciando intorno ad un anello con diamante un capello suo e uno dello sposo, tenendolo poi sul cuore per nove giorni e infine donandolo all’amato da indossare.

Perché la fede è in genere d’oro? Perché nella tradizione cristiana questo metallo è simbolo di eternità. La fede va messa all’anulare sinistro, usanza che ha diverse origini: la prima deriva da un antico rito della liturgia cattolica, quando il celebrante tocca le prime tre dita pronunciando “nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo” e poi infilando l’anello nel quarto dito. La seconda spiegazione è più romantica: secondo gli egizi ma altresì secondo i romani, nell’anulare passava la cosiddetta vena amoris, che da lì porta direttamente al cuore. Quindi, l’anello sull’anulare è il suggello di un impegno di fedeltà sentimentale.

Popolare anche la leggenda, cinese, secondo cui ogni dito della mano rappresenta una figura familiare della nostra vita. Il pollice i genitori, l’indice i fratelli, il medio noi stessi, l’anulare l’altra metà e il mignolo i figli. Unendo specularmente le mani, con i medi piegati, si noterà che tutte le dita possono essere staccate salvo gli anulari. Ecco perché l’unione con l’altra metà è indissolubile ed eterna.